Alimentare il domani

Ci manca il gas

Una crisi annunciata da numerosi fattori, in primis la forte dipendenza dell’Europa dalle importazioni.

In un report del 2019, intitolato “Could we see $2 gas in Europe in 2020?“, l’Oxford Institute for energy studies (OIES) anticipava che, nel corso dell’anno, il prezzo del gas in Europa sarebbe sceso sotto i 3 dollari di milioni di btu, cioè British Thermal Unit, unità di misura della quantità di calore utilizzata negli Stati Uniti e nel Regno Unito. E, in effetti, così è stato, anzi, come conseguenza dell’emergenza Covid-19, il prezzo è sceso addirittura sotto i 2 dollari. Nel 2021 era previsto che i prezzi calassero ulteriormente, considerato l’arrivo di forniture extra di GNL (gas naturale liquido) e un aumento della domanda a livello globale. 

Tuttavia, le ondate di freddo verificatesi in tutto l’emisfero settentrionale e il prolungamento del lockdown hanno determinato sempre maggiori richieste di gas. Se a questo si somma il fatto che le riserve europee erano già piuttosto scarse, è facile capire come ci fossero tutte le condizioni per scatenare la cosiddetta “tempesta perfetta”, facendo schizzare i prezzi alle stelle. 

Le ondate di fretto verificatesi nell’emisfero settentrionale e il prolungamento del lockdown hanno determinato sempre maggiori richieste di gas. Se a ciò si sommano le già scarse riserve europee, abbiamo tutti gli elementi per scatenare la cosiddetta “tempesta perfetta”. 

Secondo l’Ispi, i Paesi Europei hanno subito un rincaro del +280% rispetto a gennaio, alimentando il timore che si verificasse una crisi energetica; l’aumento delle bollette ha convinto alcune delle industrie ad alta intensità energetica a rallentare la produzione. 

Questo dipende dal fatto che la produzione europea di gas è crollata, passando dai 52,4 bcm del 2019 ai 39,9 bcm di quest’anno, per un calo complessivo di -12,5 bcm. 

Confrontando i primi otto mesi del 2019 e del 2021, l’OIES ha inoltre constatato come nel 2021 le importazioni globali di GNL abbiano subito un aumento del 12%, superando i 28 bcm (miliardi di metri cubi) e siano destinate a crescere ancora (10% in più, pari a  35/40 bcm) entro la fine dell’anno. Contemporaneamente, le importazioni destinate all’Europa sono diminuite di 7,8 bcm tra gennaio e agosto 2021, dal momento che le riserve un tempo riservate al vecchio continente sono oggi contese con nuovi attori internazionali come Cina e India.

Gasdotto del deserto di Mojave, California.

Attualmente, le forniture di gas europee provengono da Norvegia, Russia, Nord Africa (Algeria e Libia) e Azerbaigian. Nel periodo compreso tra gennaio e agosto 2021, le importazioni provenienti dall’Azerbaigian hanno superato i 4,5 bcm rispetto al 2019, mentre quelle dal Nord Africa (destinate a Spagna e Italia) sono passate dai 17,3 bcm del 2019 ai 26,1 bcm del 2021, per un totale di 8,8 bcm. In generale, le importazioni dall’Azerbaigian e dal Nord Africa sono aumentate di 13,3 bcm. 

Il calo più importante ha riguardato la Russia e in particolar modo i flussi provenienti dai gasdotti che attraversano l’Ucraina. Nel periodo compreso tra gennaio e agosto 2019 i flussi ammontavano a 53,2 bcm, nello stesso periodo di quest’anno hanno raggiunto i 26,1 bcm (-27,1 bcm). Fino a due anni fa, il transito di gas attraverso l’Ucraina era ancora regolato da un contratto siglato nel 2009. Nel dicembre 2019, le parti hanno firmato un nuovo accordo, in base al quale Gazprom, il colosso russo dell’energia, ha prenotato con anticipo la capacità di gas destinato a passare per la rotta ucraina, pari a 65 bcm per il 2020, e a 40 bcm nel periodo compreso tra 2021 e 2024. A Gazprom resta la possibilità di ripensare le soglie annuali, prenotando una certa soglia di gas in più con anticipo. Nei primi otto mesi del 2021, lo ha fatto, assicurandosi 41,2 milioni di metri cubi al giorno per gennaio 2021, e poi circa 15 milioni di metri cubi al giorno di capacità aggiuntiva mensile da febbraio ad agosto. 

Il calo di importazioni più consistente ha riguardato la Russia e in particolar modo i flussi provenienti dai gasdotti che attraversano l’Ucraina. 

Per alleviare la crisi energetica, Gazprom avrebbe potuto prevedere di aumentare le forniture destinate all’Europa ma, come dichiarato dall’IEA ha scelto consapevolmente di non farlo. Secondo alcuni analisti, Gazprom avrebbe intenzionalmente “trattenuto” i volumi di importazione destinati a raggiungere il mercato europeo tramite la rotta ucraina, per fare pressione sull’Europa e accelerare l’approvazione del gasdotto Nord Stream 2, i cui lavori si sono conclusi alcune settimane fa. Tuttavia, è anche possibile che Gazprom non avesse semplicemente riserve sufficienti da inviare in Europa, dovendo bilanciare la domanda interna russa. 

Un recente articolo di Bloomberg spiega che quella in atto è soltanto la prima di una serie di crisi energetiche che si verificheranno nei prossimi decenni, in quella che è stata definita la “clean power era”. I sistemi energetici del pianeta sono sempre più interconnessi. La continua crescita economica e demografica incentiva i consumi. Un cambiamento anche minimo può produrre effetti a catena su tutte le industrie, ostacolando la produzione, interrompendo le forniture di cibo e causando blocchi alla supply chain. Intanto, il mondo si prepara a diventare sempre più digitalizzato. E la vulnerabilità ‘energetica’ rischia di mettere in crisi un sistema economico e sociale in cui i Paesi e le industrie hanno bisogno di essere ‘affidabili’.