Cosa sono le tecnologie blu?
A che punto siamo con la transizione ecologica dei mari, anche nota come blue technology
La definizione blue technology si riferisce all’insieme delle nuove tecnologie che puntano a migliorare il nostro rapporto con gli oceani. Secondo la definizione fornita da SeaSide Sustainability, le “tecnologie blu” sono dispositivi di intervento sui detriti marini che contribuiscono a rimuovere i rifiuti dai nostri oceani, spiagge e corsi d’acqua. Questi dispositivi e sistemi innovativi sono progettati per monitorare e pulire gli oceani senza danneggiare gli ecosistemi marini.
Nel 2021, il MIT Technology Review Insights Blue Technology Barometer ha richiamato l’attenzione sulla necessità di integrare maggiormente gli investimenti per favorire la decarbonizzazione degli ecosistemi terrestri con quelli per gli ecosistemi marini. Le principali sfide riguardano la conservazione dell’ambiente marino e la mitigazione del clima degli oceani. COP 27, svoltasi a Sharm el-Sheik qualche mese fa, si è conclusa con un accordo per la creazione di un fondo dedicato e nuovi meccanismi di finanziamento per compensare le perdite e i danni subiti dai Paesi in via di sviluppo a causa dei cambiamenti climatici. Questo intervento ha una particolare risonanza per le economie marittime che sono colpite da eventi meteorologici estremi di origine oceanica, come gli uragani, o di quelli a lenta insorgenza, come l’innalzamento del livello del mare nel mondo.
Per blue technology si intende l’insieme di sistemi che puntano a migliorare il nostro rapporto con gli oceani. Secondo la definizione di SeaSide Sustainability, questi dispositivi sono progettati per monitorare e pulire gli oceani senza danneggiare gli ecosistemi marini.
Nella classifica stilata nel 2021 dal MIT, i punteggi migliori erano stati ottenuti da economie “mature”, in grado di finanziare e sostenere gli investimenti tecnologici per la conservazione e la sostenibilità degli oceani. Il Regno Unito, ad esempio, è considerato capofila nello sviluppo delle tecnologie blu, anche se nell’ultimo anno, il punteggio complessivo del Paese è sceso da 7,83 a 7,73. Il Giappone è passato dall’11° posto al nono posto (con un punteggio che passa da 6,37 a 6,63) e i Paesi Bassi sono saliti di tre posizioni al 10° posto (da 6,37 a 6,63).
Per assicurare un cambiamento duraturo delle blue economy, occorrono sforzi complessi e multidisciplinari. Molti paesi stanno provando a modificare le infrastrutture marittime, l’Unione Europea ha deciso di dedicare parte delle sue risorse a questo settore, finanziando la piattaforma “Pelagos Blue energy cluster” per il Mediterraneo e pubblicando una comunicazione dal titolo “Crescita blu” per pianificare a livello europeo una crescita sostenibile dei settori marino e marittimo.
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L’obiettivo è di sviluppare una politica marina integrata (oceanografia, pianificazione e sorveglianza marittima), promuovendo una strategia di crescita sostenibile, attenta ai differenti contesti climatici, sociali, economici e culturali delle varie zone della costa europea ed intervenire in specifici settori, tra cui l’acquacoltura, il turismo costiero, le biotecnologie, lo sfruttamento dell’energia degli oceani e l’energia blu.
Nel settore energia un’area di sviluppo importante è quella dell’eolico offshore. La Norvegia (ottava nella classifica stilata dal MIT) stà completando la realizzazione del progetto Hywind Tampen, il più grande parco eolico galleggiante al mondo, basato su 11 turbine eoliche da 8,6 MW, che punt a produrre 47% della capacità mondiale di energia elettrica da eolico galleggiante, minimizzando, nel contempo, l’impatto sui fondali.
Come per tutte le azioni contro il cambiamento climatico, le innovazioni nei nostri oceani sono fondamentali. Jyotika Virmani, direttore esecutivo dello Schmidt Ocean Institute, una fondazione senza scopo di lucro che finanzia la scienza marina, ritiene che diversi progressi scientifici tiano diventando strumenti sempre più potenti per comprendere e mitigare gli effetti del cambiamento climatico sugli oceani.
Molti paesi stanno provando a modificare le infrastrutture marittime. L’UE ha finanziato la piattaforma “Pelagos Blue energy cluster” per il Mediterraneo e pubblicato “Crescita blu” per pianificare a livello europeo una crescita sostenibile dei settori marino e marittimo.
Uno di questi è l’utilizzo del DNA ambientale (e-DNA) – materiale cellulare che gli organismi lasciano negli ambienti acquatici. Le nuove capacità di rilevamento biologico permetteranno di valutare la presenza e l’entità delle specie invasive e di comprendere meglio le popolazioni ittiche per incrementare la gestione sostenibile degli oceani. Questo, insieme alle attuali tecnologie di misurazione della temperatura, della salinità e dell’ossigeno porterà a una conoscenza molto più approfondita di ciò che avviene nei fondali e permetterà di rispondere a domande cruciali come, ad esempio, l’effettiva entità dei danni prodotti dalle microplastiche nell’oceano, o se determinati stock ittici sono davvero in declino.
Di grande impatto sarà anche il progetto Nippon Foundation-GEBCO Seabed 2030, un’iniziativa che mira a creare una mappa completa dei fondali marini ad alta risoluzione e che entro la fine del decennio consentirà di vedere parti del pianeta mai viste prima per studiarle e, soprattutto, proteggerle.
31 gennaio 2023