Modelli Futuri

Il nucleare è green? Il dibattito va avanti

Un report dell’UE l’ha inserita tra le fonti di energia pulita, ma gran parte della comunità scientifica dei Paesi membri non è d’accordo

Ad aprile, un report pubblicato dal Joint Research Centre, servizio scientifico interno alla Commissione Europea, ha classificato l’energia nucleare tra le fonti pulite. Secondo quanto dichiarato dagli esperti coinvolti nella stesura del documento, l’analisi “non avrebbe rilevato l’esistenza di evidenze scientifiche che dimostrino che l’energia nucleare faccia più danni alla salute umana o all’ambiente rispetto ad altre tecnologie di produzione di elettricità”.

A influenzare positivamente la valutazione del JRC è stato il fatto che la produzione nucleare non produce emissioni di anidride carbonica, per cui il suo impatto ambientale resta piuttosto basso, insieme a quello dell’energia fotovoltaica. Secondo gli esperti incaricati alla stesura del report, inoltre, le centrali di ultima generazione sarebbero progettate in modo da rendere il rischio di incidenti piuttosto basso.

 

Ad aprile, un report pubblicato dal Joint Research Centre, servizio scientifico interno alla Commissione Europea, ha classificato l’energia nucleare tra le fonti pulite.

Nonostante il “green pass” ottenuto da parte dell’UE, buona parte della comunità scientifica dei singoli Paesi membri continua a essere fortemente critica. Secondo molti, tra i parametri presi in considerazione per valutare l’impatto ambientale delle centrali atomiche bisogna considerare il trattamento delle scorie nucleari radioattive. Secondo l’IAEA, esistono tipi di rifiuti nucleari, classificati sulla base della loro radioattività.

Questa categorizzazione può variare da Paese a Paese, ma in linea di massima i principali criteri per determinare il tipo di rifiuti sono derivati dal contenuto radioattivo e dal tempo di dimezzamento, cioè il tempo impiegato per perdere metà della loro radioattività. I rifiuti a bassa attività derivano principalmente da operazioni di manutenzione e routine e possono comprendere indumenti, copriscarpe e altri strumenti protettivi; i rifiuti ad attività intermedia possono comprendere i residui del trattamento dell’acqua del reattore o filtri di purificazione.

 

Dati Eurostat sulla produzione nucleare in Europa aggiornati al 2019.

Questo tipo di scorie rappresentano circa il 97% del totale dei rifiuti nucleare, ma possiedono solo l’8% della radioattività. I rifiuti ad alta attività sono rappresentati dal combustibile esaurito dai reattori: a causa dell’elevato rischio di contaminazione e del calore che generano, devono essere schermati, raffreddati e isolati per un lungo periodo di tempo. Smaltire in maniera sicura i rifiuti ad alta attività, che restano radioattivi per centinaia di migliaia di anni, risulta ancora un problema irrisolto. Dopo aver rinunciato all’idea di spedire le scorie nello spazio o inabissarle nelle fosse oceaniche, si è scelto di accumulare questi rifiuti in depositi o speciali vasche di raffreddamento, costruite in prossimità delle centrali. 

Attualmente, nessuna barriera artificiale è in grado di schermare la biosfera dalle radiazioni. L’opzione più concreta sembrerebbe essere quella di seppellire le scorie in depositi geologici a grandi profondità, all’interno di conformazioni rocciose stabili e impermeabili. Al momento l’unico deposito operativo si trova in New Mexico ed è noto come WIPP (Waste Isolation Pilot Plant); la Finlandia, intanto, progetta la costruzione del primo deposito civile di rifiuti radioattivi, che dovrebbe entrare in funzione nel 2025.

Cartello appeso sul muro della prima centrale nucleare costruita in Idaho, oggi diventata un museo. | Unsplash

Secondo Legambiente, le aree ritenute idonee a ospitare tali scorie potrebbero incorrere in rischi idrogeologici che non sono ancora stati chiariti, mentre Greenpeace sostiene che l’industria dell’atomo punti a ottenere parte dei fondi pubblici destinati alle attività legate alla transizione energetica per espandere la propria attività. Il giornalista del Financial Times Wolfgang Münchau ha espresso delle perplessità sui criteri di valutazione dell’impatto ambientale adottati dalla Commissione, giudicati troppo “morbidi”.

Per far fronte all’industrializzazione spinta che l’intero continente europeo ha vissuto dopo la Seconda Guerra mondiale, i sei stati fondatori dell’allora CECA (Comunità del Carbone e dell’Acciaio) decisero di puntare sul nucleare per raggiungere l’indipendenza energetica. Il 1 gennaio 1958 nacque Euratom (Comunità Europea dell’Energia Atomica), tra i cui membri figurava anche l’Italia, allo scopo di implementare gli impianti per la fissione nucleare.

Nel 1986 l’incidente di Chernobyl riaccese il dibattito sulla sicurezza del nucleare; in Italia il referendum del 1987 decretò la chiusura dei quattro reattori presenti sul territorio nazionale (Caorso, Garigliano, Latina, Trino Vercellese).

 

Secondo Legambiente, le aree ritenute idonee a ospitare tali scorie potrebbero incorrere in rischi idrogeologici ancora non chiariti, mentre Greenpeace sostiene che l’industria dell’atomo punti a ottenere parte dei fondi pubblici destinati alle attività legate alla transizione energetica per espandere la propria attività.

Sulla scia del disastro ambientale di Fukushima nel marzo 2011, il ruolo preminente dell’energia nucleare in Europa è stato messo in discussione da molti governi. Da allora il governo tedesco si è imposto di chiudere tutti i reattori nucleari entro il 2022. La Francia, invece, continua a fare affidamento sulla produzione di energia nucleare. Secondo i dati di Statista aggiornati a giugno 2021, la “quota nucleare” è abbastanza alta anche in altri Paesi europei come Slovacchia, ucraina, Ungheria e Belgio. Il più grande reattore nucleare attualmente in costruzione nel mondo si trova, invece, in Finlandia. Si tratta dell’Olkiluoto 3 una produzione lorda di elettricità prevista di 1,72 gigawatt elettrici.